Richard Blog

środa, 10 października 2007

martedì, marzo 16, 2004



dead ordinary men: (untitled)



in questi tre giorni di lutto famigliare ho notato, o forse mi sono ricordato di, cose che avevo avuto la fortuna di dimenticare. le condizioni particolari di questa morte, per certi versi attesa dopo un’agonia quasi decennale, hanno epurato il lutto della sua caratteristica più devastante, il dolore amplificato dallo shock della scomparsa. il dolore è stato distillato giorno per giorno in otto lunghissimi anni, ha consunto il morituro e le persone che lo circondavano dilatando a dismisura il tempo della morte. per questa ragione abbiamo potuto tutti osservare questa cerimonia funebre con particolare attenzione, avendola vissuta al rallentatore, come la fine di un processo pluriennale che aveva finito col costruirsi un suo spazio e un suo tempo, una non più vita e non ancora morte che è stato un segmento a sé stante: nascita, vita, malattia e morte. e la malattia, attraverso la paralisi e il silenzio, aveva lasciato un corpo morto intorno all’anima di un vivo, come se qualcuno fosse stato distratto pochi secondi prima di dare il colpo di grazia. è stata una dissolvenza, la sua. ho avuto l’impressione che il dolore fosse dato dalla pura constatazione della scomparsa del suo corpo dalla superficie terrestre. non emetteva più suoni, non compiva movimenti autonomi, esternava pensieri e sentimenti con uno sguardo sempre più stanco, impotente. il cervello produceva impulsi, che arrivavano all’occhio e lì si infrangevano nell’incomunicabilità. era solo corpo e adesso la visione di quel corpo ci è negata. dev’essere per questo che ho provato il dolore più forte qualche ora dopo l’interramento, perché un trapasso così lento, lieve, impercettibile, lascia troppo tempo e troppa lucidità per il pensiero, solitamente sconvolto e distorto dallo shock e dal dolore. questa è stata una morte pura, esemplare, corpo che finisce sotto terra e tutti gli altri che rimangono sopra. mette inevitabilmente di fronte alla propria di morte, o peggio di fronte a tutte le altre morti a cui assisteremo. sono venute molte persone anziane a far visita al corpo di mio nonno in questi giorni. persone che non rivedrò, ho pensato che magari non mi sarà data la notizia della loro morte o peggio, rimarrò del tutto indifferente di fronte alla notizia, cercando di ricostruire nella memoria il loro volto per qualche minuto, poi lasciando perdere, adducendo una scusa per non presenziare al funerale. con le persone più vicine, più care, nei momenti immediatamente successivi alla scomparsa, si innesta invece un processo di potenziamento del ricordo, di ricorso alla memoria e a simulacri di vario tipo per cercare di contrastare la sparizione del corpo. l’esibizione del cadavere per i giorni precedenti l’interramento è la pratica più estrema di tutte. il cadavere nella bara possiede un’eleganza, una compostezza, una dignità e un’austerità tali da poter essere raggiunte solo dopo la morte. alcuni non colgono immediatamente la differenza con la persona viva. eppure fissandolo per alcuni secondi si capisce che dentro non c’è più niente. sulla parete di fianco alla bara c’è un suo ritratto, eseguito alcuni anni fa da un amico pittore. nel corridoio, vicino alla porta, una fotografia scattata tre giorni prima dell’ischemia che lo paralizzò per sempre. la sera prima sono andato a guardarlo morire per qualche minuto, a vederlo vivo per l’ultima volta. durante il funerale, un prete che è stato suo amico, ha ripercorso alcune tappe della sua vita. una donna ha letto un’orazione funebre, ricordi di lui che si era appuntata su un foglio per l’occasione. ho guardato la foto sulla carta d’identità, volto già devastato dalla malattia sopra la scritta “impossibilitato a firmare”. abbiamo discusso sulla fotografia da mettere sulla lapide. alcuni anni fa, ancora in salute, aveva voluto che glie ne fosse scattata una appositamente per questo, pratica piuttosto comune tra le persone di una certa età. ogni tanto, in macchina coi miei, chiedevo informazioni sulla sua vita passata, cose che lui non poteva più raccontare. non saprei quale scegliere di tutte queste messe in scena. il cadavere, il ritratto e la fotografia per la lapide sono semplici riproduttori di fattezze, tentativi di resurrezione del corpo affidati a pose che si relazionano tutte in qualche modo con la morte. sono lì per farci ricordare la persona in vita ma ci presentano l’immagine della persona morta. fotografie e ritratti lo rivelano apertamente solo dopo il trapasso, ma sono comunque tutte immagini difficili da sopportare. suppongo che sia per una ragione simile che fu inventata l’iconoclastia. le orazioni funebri e i racconti delle persone possono essere ugualmente dolorosi, ma non riesco a non pensare che siano stati costruiti, vivendo, dal protagonista di quei racconti. contengono ancora un soffio di vita, se non altro perché non esiste uomo capace di vivere cosciente del fatto che in ogni momento sta scrivendo la sceneggiatura del suo funerale.



appendice: ricordo tante immagini di lui o immagini di cose relazionate a lui in vita (inscritte su supporto mentale, intendo). d’ora in avanti ne ricorderò alcune relazionate a lui dopo la sua morte. durante la processione funebre ho camminato lentamente per le strade del mio paese, sono rimasto tutto il tempo voltato a guardare e mi è sembrato stranamente dignitoso. mi è sembrato per la prima volta bello e accogliente il piccolo cimitero di campagna in cui è stato sepolto e mi sono quasi innamorato dei luoghi dell’infanzia sua e di mio padre, per lo più vecchi paesini disabitati e risaie asciutte sotto il sole. in genere ci passiamo in macchina soltanto il primo di novembre, proprio per raggiungere i cimiteri dove sono sepolti i nostri familiari, ma ieri mi sono ripromesso di tornarci a fare delle foto, qualche volta.

postato da atrocityexibition 16/03/2004 18:49

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